La terza settimana del mese di settembre, è stata fra le peggiori dell’anno. Lunedì la batteria della moto mi ha definitivamente mollato, costringendomi a rinviare alcuni importanti impegni di lavoro.
Martedì ho buttato via tre ore della mia vita presso i locali dell'Agenzia delle Entrate, senza riuscire a concludere un bel niente. Giovedì il postino mi ha consegnato una "gradevole" busta verde, contenente una multa per eccesso di velocità che avrei rimediato una ventina di giorni fa mentre percorrevo una strada extraurbana a 122 km/h, ben 12 km/h oltre il limite vigente.
Venerdì invece il mio bassotto si è sentito male, e ho trascorso mezza giornata con lui dal veterinario, fra esami, flebo, punture e quant’altro. Se non altro, grazie alla terapia del medico, Jack ha mostrato in poche ore degli incoraggianti segnali di ripresa.
Roba da matti (!), ci sarebbe da pensare all'opera di uno stregone, non fosse altro che a incantesimi, macumbe e malocchi vari onestamente non ci ho mai creduto. Non escludo tuttavia di poter cambiare idea qualora questa vagonata di jella, che mi è improvvisamente piombata addosso, dovesse persistere anche nei prossimi giorni.
Nonostante la tragicomica settimana sia ormai alle mie spalle, rabbia e sconforto non mi hanno ancora abbandonato, questo perchè davanti a me si prospettano sette giorni di fuoco: fra le altre cose dovrò infatti recuperare il tempo perso e i numerosi impegni saltati. Oggi però è domenica e vorrei assolutamente evitare di farmi tormentare dai cattivi pensieri.
La giornata è meravigliosa: cielo limpido, luminoso, e clima temperato. Esco in terrazza e punto lo sguardo a nord/ovest. Lei, l’Etna, è lì, col suo soffice pennacchio grigio, emblema di una sempiterna operosità. In tutti questi anni fra noi s‘è creato un legame indissolubile, fatto d’amore e, qualche volta, apprensione.
Il richiamo è sempre forte, ma quando l'astinenza si mischia all'inquietudine, resistere diventa impossibile.
Salgo in mansarda per compiere il rito, quello che precede ogni uscita, sia essa breve o lunga: stivaletti, paraschiena, giubbotto, guanti…casco. Senza armatura non riuscirei a percorrere neanche un metro in sella al mio destriero. Lui mi attende due piani più in basso, pronto a condurmi nella dimensione X, quella che più amo. Una sorta di mondo parallelo privo di preoccupazioni, grattacapi e rogne varie.
Tiro su la saracinesca e incrocio subito il suo sguardo carismatico, le sue linee, sinuose, slanciate e ancora attuali, nonostante il tempo trascorso...ben 13 anni ormai.
Monto su e infilo la chiave nel blocchetto d’accensione: un quarto di giro appena. Con un coreografico ceck, la strumentazione mi da il “benvenuto a bordo”, mentre la pompa carburante precarica gli ignettori.
Schiaccio il pulsante di start: con un paio di giri il motorino d’avviamento rianima il quattro cilindri di Iwata. Il suono cupo colpisce le pareti e mi rimbalza addosso, avvolgendomi con esaltante vigore. Leva della frizione tirata, giù il pedale del cambio, un secco “clonk” accompagna l’inserimento della prima marcia.
Esco dal garage, teatro di molteplici esperimenti meccanici, e percorro lentamente il vialetto. La mia mente è già sgombra...
Giunto allo stop, punto il muso verso Milo. Nel corso degli anni ho provato tutti i percorsi asfaltati del nostro splendido vulcano, e oggi posso dire che i più belli restano per me quelli del versante est. Il tratto della Mareneve che collega la frazione di Fornazzo al rifugio Brunek, è certamente quello che più mi emoziona: 20 km circa di curve e panorami unici.
E’ ancora presto, ma c’è già un po’ di traffico. Venti minuti appena per raggiungere l’imbocco della via Mareneve: la strada è a doppio senso e a lato della mia corsia un gruppo di motociclisti si prepara a salire.
Percorro il rettilineo iniziale, le piogge abbondanti del mese di agosto mi invitano alla prudenza. Non dev'essere una cronoscalata...ma so già che tenere a bada quel mattacchione del mio polso destro sarà difficile.
Il primo tratto offre una curva ad ampio raggio seguita poi da due esse. Un piccolo antipasto, sufficiente a mandare in temperatura le gomme e a riaccendere il sorriso spento da una settimana di fantozziane vicissitudini. Prima scarica di adrenalina !
La strada prosegue con un breve rettilineo, due macchine mi precedono, ma avanzano con passo "bradipesco". Spalanco il gas, le supero snocciolando le marce in rapida successione: terza, quarta…, il fruscìo del vento sovrasta l'urlo garbato del motore, cerco un po’ di protezione dietro lo striminzito cupolino. La curva cieca della Madonna Citelli, la più pericolosa del tracciato, si avvicina rapidamente, obbligandomi a ridimensionare l'andatura con un'energica pinzata. La percorro con prudenza: più volte a bordo strada ho visto dei turisti passeggiare, alla scoperta di questo luogo simbolo, profondamente segnato dalle colate laviche del 1950 e 1970.
Passato il punto critico mi ritrovo su un altro breve rettilineo. Da qui in poi il percorso si fa entusiasmante: curve e controcurve lente e veloci, esse, scollinamenti e continui saliscendi. Divertimento da montagne russe insomma !
Scalo una marcia, ruoto con decisione l’acceleratore, il motore è un po’ fiacco a causa dell'altezza, ma la spinta e comunque consistente. Seconda, terza, quarta…il rumore d’aspirazione proveniente dall’airbox, penetra nelle mie orecchie. Pura libidine ! Mentre le ruote della mia R6 divorano il tragitto, sulla corsia opposta un “collega” alla guida di una splendida CBR1000RR nero/grigia, lampeggia in segno di saluto.
Giusto il tempo di ricambiare ed eccomi nuovamente aggrappato ai freni per la seconda staccata: curva a destra, poi brevissimo rettilineo e subito a sinistra. Amo la guida rotonda, pulita, priva di sbavature, penso sia la più efficace e riduce il rischio di errori, che su strada possono essere fatali. Ai lati della carreggiata tratti di bosco si alternano a grandi distese di roccia lavica. A destra in lontananza il mare Jonio. Uno spettacolo unico, di fronte al quale si resta sempre a bocca aperta, anche se in questi posti ci si è cresciuti.
In questo tratto la strada ha una pendenza notevole, ma in sella non ci si rende bene conto di quanto sia effettivamente ripida. Mi tuffo di nuovo nel boschetto, preparandomi al contempo ad un’altra energica staccata in vista della prima curva a gomito, una delle poche presenti lungo il percorso.
Non ho molta simpatia per le curve strette, al contrario di quelle ad ampio raggio che invece adoro. Esattamente come la controcurva successiva. La percorro in accelerazione: seconda, terza...la moto prende rapidamente velocità, sento le sospensioni comprimersi sotto l’effetto della forza centrifuga, mentre il motore sale di giri.
La strada è sgombra, davanti a me c'è ora un rettilineo in salita che culmina con un lieve scollinamento. Due secondi e ci sono sopra. Alleggerisco un pò il gas, qui la ruota anteriore tende a sollevarsi e vorrei evitare di mettermi la moto per cappello. Non sono mai stato un grande “impennatore”, in compenso però la mia lista di ossa rotte è praticamente inesistente.
Riprendo il gas in mano...curva veloce a destra poi di nuovo a sinistra, sono in un tratto spettacolare, il nastro d’asfalto attraversa una grande distesa di roccia lavica. Mi accingo ad affrontare le due esse più belle dell'intero percorso, la visibilità è ottima qui, riesco a vedere entrambe le curve. Scalo una marcia, apro il gas dolcemente, imposto la mia traiettoria...piega a destra, poi a sinistra. Nonostante i continui trasferimenti di carico, la moto non si scompone di una virgola: è incollata al suolo. La messa a punto che ho effettuato sulle sospensioni, ha avuto gli effetti sperati.
Ci ho perso un bel po’ di tempo, ma ne è valsa la pena ! Il comportamento dinamico è migliorato sotto ogni aspetto. Un plauso anche alle Mitas che su queste strade finora si sono comportate davvero bene. Soldi ben spesi !
Comincia il tratto più veloce: accelero un po’ per affrontare il curvone in salita, quello dentro il boschetto. Si sta da Dio qui, ci saranno almeno dieci gradi in meno rispetto a casa, ma penso che fra qualche giorno il giubbotto estivo sarà assolutamente inadeguato.
Sessanta metri circa a moto inclinata, poi un breve rettilineo che viene troncato da una pericolosa curva a destra con tanto di segnaletica catarifrangente. Terza, seconda, prima…scalo con decisione tre marce e percorro la curva con doverosa circospezione. Dopo di essa c’è una controcurva a sinistra, sempre in salita, con tanto di scollinamento in uscita. Qui inizia un tratto molto scorrevole.
Spalanco il gas: seconda, terza, quarta…il motore urla come un ossesso mentre scarica a terra tutti e 120 i cavalli disponibili. La spinta - incontenibile - si traduce in continui alleggerimenti dell’avantreno. Percorro in pieno la prima lieve curva a destra e inizio a frenare preparandomi, al contempo, ad affrontare la marcata depressione che immette nel lungo rettilineo in salita. In lontananza vedo sopraggiungere un gruppo di motociclisti. Scendono in fila indiana. Giusto un paio di secondi ed ecco l’immancabile scambio di lampeggi. E’ incredibile come un gesto così piccolo racchiuda in se un grande significato e ti faccia sentire così fiero e fortunato di appartenere a questa straordinaria famiglia.
Proseguo con lo stesso ritmo per altri 5 km chilometri, al termine dei quali inizia la discesa verso il rifugio Brunek. Li ad attendermi ci sono tanti altri fratelli e un caffè preparato dal buon Michele.
Gas chiuso, lascio scorrere la moto per godermi lo strepitoso panorama e sgranchire un po’ le braccia, indolenzite dalla postura missilistica.
Una distesa di roccia lavica circonda questo tratto di strada: sulla sinistra il bivio per Piano Provenzana, davanti a me, in lontananza, uno scorcio dei monti Peloritani, il mare e l'Aspromote. Pura poesia !
Manca solo un chilometro alla meta, ma questo splendido valzer mi ha già restituito un bel sorriso a 32 denti, e la carica giusta per affrontare al meglio una nuova, difficile, settimana di lavoro.
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